Silenziosamente, procedendo sul cuscinetto d’aria, l’auto si avvicinava all’ingresso del padiglione dedicato alla caccia.
L’ampia campana, custodiva un perfetto esempio di bosco del ventesimo secolo, con alberi di alto fusto, cespugli aromatici ed un fitto sottobosco di agrifoglio e pungitopo dalle bacche scarlatte. Era il vanto “dell’organizzazione”, che aveva comunque deciso di sostituirlo l’anno successivo in quanto non più produttivo. Meglio uno stand di crash test che tanto piaceva ai giovani del terzo millennio. Una simulazione di incidente frontale, legati al sedile della vettura, con il brivido sottile generato dal dubbio della provvidenziale apertura dell’air bag.
Ma, ancora per quell’anno, il bosco doveva espletare il suo compito, come l’organizzazione aveva pianificato: Pic nic e passeggiate in primavera ed in estate, tutto realizzato a regola d’arte, micro clima compreso, per la gioia dei visitatori più romantici; perfette imitazioni di funghi e frutti di bosco in autunno e, solo per i personaggi importanti della dirigenza, caccia in inverno.
Ed Avon importante lo era davvero, alto funzionario d’apparato, era un concentrato di sicurezza e programmazione, le uniche virtù che contavano in un mondo senza imprevisti o dubbi.
Il suo cane, un clone con pedigree proveniente da uno stabilimento della vecchia Europa, dimostrava la tipica inquietudine di ogni vigilia di caccia. Ne aveva contate più di venti, e senza avere mai un problema meccanico od elettronico.
Veniva dall’Italia, aveva uno sguardo bonario e lunghe orecchie. Gli avevano detto che riproduceva un cane da caccia, tra i più antichi, ed a lui piaceva vederlo trottare al ritmo del moncone di coda, che teneva sempre dritto.
Medoro, questo il suo nome, sembrava che capisse, che provasse gioia o dolore. Ma il suo cuore in fibra di carbonio, non poteva provare nessuna emozione ed Avon questo lo sapeva, ma faceva finta di niente in fondo quel mucchio di pelle, troppa per alcuni, e macchie, era il suo unico amico.
Il tesserino magnetico era stato programmato per tre ingressi a stagione, eccessivi per chiunque altro ma non per lui a cui si doveva la scoperta del tessuto Oryx, vanto dei piloti da combattimento del quarto quadrante di Sirio.
Avon lasciò scivolare il badge ed entrò.
Il bosco, immobile nella sua fredda verginità autunnale, lasciava nell’aria un profumo di muschio, anch’esso perfettamente imitato. Le foglie, sparse con sapienza sul terreno, scrocchiavano al passo del cacciatore, che impugnava, altra concessione speciale, un fucile ad un colpo calibro 36. Era il massimo che si poteva pretendere dalle autorità. Le armi sportive erano state messe al bando, mentre quelle da guerra avevano raggiunto una tecnologia sconcertante. Ipocritamente era stato abolita ogni forma di tiro a segno, mentre nei bracci della morte, continuavano a funzionare le sedie elettriche per eliminare i soggetti considerati pericolosi per la collettività.
Il calendario venatorio era stato sostituito dal listino prezzi, i selvatici anch’essi clonati, potevano essere scelti dal cacciatore, e liberati nel loro ambiente, bastava essere sufficientemente importanti e poter pagare.
Medoro diligentemente batteva le stazioni che ben conosceva, aspettandosi da un momento all’altro un frullo.
La ferma non esisteva più, perché i protagonisti dell’azione avevano perso qualsiasi forma di emozione. Solo un impulso regolava, all’avvicinarsi del cane, l’involo dell’uccello, per il gran finale: l’abbattimento del selvatico clonato.
Eppure non era stato sempre così, ed Avon lo sapeva bene, perché spulciando tra le carte di un vecchio anarchico aveva trovato tra i tanti testi vietati, una serie di libri sulla caccia, quella brutale praticata alcuni secoli.
Foto sbiadite ritraevano le stesse prede che lui insidiava, ma con una luce diversa negli occhi, erano vive!
La tecnologia barbara del tempo non consentiva la riproduzione delle specie selvatiche in laboratorio mentre alcune specie, la beccaccia era una di queste, non potevano essere riprodotte neanche in cattività.
Razze barbare, selvatici e cacciatori, che non si piegavano alle Leggi se non quelle della natura e dell’emozione. Nei libri si narrava inoltre, di personaggi incredibili per questo tempo, li chiamavano bracconieri, e cacciavano liberi senza alcun vincolo, ignorando la Legge. No, oggi sarebbe intollerabile una cosa del genere, alle porte del quarto millennio, nulla può sfuggire alla programmazione ed all’ubbidienza, per il bene di tutti.
Ma quel pensiero lo rendeva comunque nervoso. Una sottile inquietudine si era impadronita della sua mente mentre solo ora si accorgeva di aver perduto il cane.
Ricordava di averlo visto per l’ultima volta, sul bordo dell’unica zona proibita del padiglione: un’area circondata dalle fotoelettriche che non poteva essere assolutamente profanata. Non c’era un reale motivo, solo il senso del divieto e della Legge che doveva per decreto essere ribadito ovunque vi fosse un’attività umana.
Medoro, lavorando sul bordo della zona interdetta, aveva sconfinato, complice un malfuzionamento del recinto elettrico. Non poteva fare altro che attenderlo al di qua del filo, ma il tempo passava ed il fedele compagno non rientrava.
Del resto non poteva, proprio lui, derogare al divieto imposto dall’autorità. Lui che era un esempio per tutti, al punto di essere mandato nelle scuole per parlare dei risultati raggiunti dalla pianificazione planetaria.
Ma una delle ultime volte gli era capitato, mai era successo prima, di sentirsi imbarazzato, di fronte ad una semplice domanda che una piccola ragazza bionda gli aveva posto con grazia inusueta: “Sig Avon, lei è felice?”
Che buffo, non si era mai posto una domanda del genere, e non era riuscito a rispondere, fino a che il professore lo aveva tratto in salvo dall’imbarazzante situazione intervenendo con un secco: “Signorina, non sono domande da farsi ad un dirigente dell’organizzazione!”.
Già, non sono domande da farsi, e nemmeno da porre a se stessi, ma adesso quel tempo che lo separava dalla vista del suo cane lo rendeva irrequieto, anzi infelice, e non poteva più aspettare.
Calandosi nel punto in cui le fotoelettriche lasciavano aperto il varco, si fece scivolare fino a trovarsi dalla parte opposta. Il terreno, con sua sorpresa non era mutato, lasciando intatte le caratteristiche della zona libera e il divieto gli sembrò per la prima volta una cretinata, o peggio un abuso.
Cercava con gli occhi tra i cespugli di fibra qualcosa che lo riconducesse all’immagine familiare e traquillizante del suo cane, ma oltre alle immagini che ora si ripetevano con regolare monotonia, non riusciva a scorgere nulla.
Finalmente, tra un cespuglio di agrifoglio ed uno di rosa canina, scorse Medoro in plastica ferma. Non era possibile, il suo clone aveva assunto una di quelle posture che aveva visto riprodotte sulle pagine dei libri proibiti. Il corpo fremeva, mentre gli occhi sembravano uscire dalle orbite in una disperata espressione di ricerca d’aiuto. Anche Medoro non capiva, ma era fermo su un emanazione viva.
Avon cercò di non farsi prendere dal panico. Rischiare di sparare nella zona proibita per dare sfogo a quella euforia che gli saliva da dentro oppure recuperare il cane e tornare diligentemente nel riquadro consentito?
L’uccello decise per tutti, levandosi con fragore davanti al cane produsse in Aron un riflesso condizionato, sconosciuto pericoloso.
Il colpo frantumò il silenzio, rimbombando nel cervello del cacciatore lo sconvolse, come se in un appartamento ci fossero entrati i ladri lasciando tutti i sentimenti e le emozioni in disordine. Non c’era tempo da perdere, doveva recuperare la beccaccia che era sicuro di aver colpito e tornare di corsa al recinto per mettersi in salvo.
Già avvertiva il vocio meravigliato e concitato dei guardiani, mentre in lontananza gli pareva di sentire il suono delle sirene della polizia avvicinarsi al padiglione.
Certo poteva lasciare l’uccello al suo destino e mettersi in salvo, ma non riusciva a dominare quel bisogno di possesso che per la prima volta sentiva irradiarsi in ogni parte del suo corpo. Infine, in una valletta umida Medoro fece buono e si immobilizzò, questa volta a martello.
Avon emozionato come un ragazzino si avvicinò a quel mucchietto di piume e calore che a fatica abbandonava quel residuo di vita che ancora pulsava. Si chinò e la prese delicatamente tra le mani era calda!
Nello stesso istante alle sue spalle qualcuno vomitò parole di fuoco intimando l’alt. Lui si girò e nel miglior stile dei film noir, il fucile gli cadde facendo partire un colpo a cui seguirono i fasci verdognoli della luce dei laser che lo centrarono mortalmente.
Poi, come per incanto tornò il silenzio.
Restavano sul terreno, un uomo sdraiato con gli occhi aperti verso un falso cielo che si faceva spazio tra i rami di alberi finti, mentre il piccolo uccello elettronico, che Avon aveva voluto credere vero, batteva ritmicamente l’ala metallica sulle foglie secche.
Emulando una morte falsa aveva regalato ad un uomo la sua unica emozione vera.