Il rottweiler, il leone, il cinghiale e….il barboncino - (18/08/2015)

Regione Lazio

 

Il rottweiler, il leone, il cinghiale e… il barboncino - (18/08/2015)

Il codice deontologico impone al giornalista di affrontare un dibattito che lo veda, conduttore o moderatore, nella condizione di super partes con il compito di sollecitare la discussione senza prendere posizione, soprattutto quando si affrontano temi "sensibili" che per ovvi motivi possono essere sviluppati esclusivamente da persone che abbiano una specifica preparazione.

Questa dovrebbe essere la regola, ma ogni volta che si affronta l'argomento caccia, o questioni legate all'interazione della fauna selvatica con le attività antropiche, i buoni propositi, e le norme deontologiche, vanno a farsi benedire ed il giornalista di turno abbandona il suo ruolo e scende nell'arena partecipando, più o meno dichiaratamente, e muovendo i fili della discussione con lo scopo evidente di condurre il dibattito verso ragioni animaliste e anti caccia.

La puntata dell'undici agosto della trasmissione “Uno mattina estate” non ha fatto eccezione e così abbiamo assistito all'ennesimo "plagio della ragione" dove la coppia di conduttori, paventando un aplomb political correct, ha condotto il dibattito verso lidi a loro cari, sostenuti da immagini scelte ad arte e commenti fuori campo che condannavano l'ospite cacciatore e lo sconosciuto esperto di "turismo venatorio", a vittime designate, senza possibilità di appello.

Io che faccio questo mestiere vengo colto dall’imbarazzo quando assisto al perfido gioco messo in atto per crocifiggere l'incauto ospite che tenta di spiegare le proprie ragioni, qualunque esse siano. Ho sposato la verità pirandelliana del "così é se vi pare", ed ho scelto per amante il concetto di libertà di espressione voltariano. Ecco perché mi ribello ogni volta che vedo profanare il diritto/dovere di cronaca al quale ogni professionista dovrebbe attenersi.

Io che faccio questo mestiere vengo colto dall’imbarazzo quando assisto al perfido gioco messo in atto per crocifiggere l'incauto ospite che tenta di spiegare le proprie ragioni, qualunque esse siano. Ho sposato la verità pirandelliana del "così é se vi pare", ed ho scelto per amante il concetto di libertà di espressione voltariano. Ecco perché mi ribello ogni volta che vedo profanare il diritto/dovere di cronaca al quale ogni professionista dovrebbe attenersi.

Ma facciamo un passo indietro: nel corso del contenitore del mattino di Rai uno, sono stati messi a confronto Federico Coccìa, veterinario di grido nonché presidente della fondazione bio parco di Roma, Riccardo Ceccarelli, definito esperto di turismo venatorio e Federico Cusimano, direttore della testata web caccia passione.

Quanto è accaduto nel corso del dibattito lo hanno visto tutti; alcuni hanno capito altri, speriamo pochi, sono caduti nella trappola del "volemose bene" cioè di quanti hanno interesse, per vari motivi, a raccogliere consensi tra clienti e spettatori “animalari”, per intenderci coloro che, come ha stigmatizzato il Dott. Arangio nell’introduzione, “amano più gli animali degli uomini”. Come spesso accade si è voluto discutere di troppi temi, diversi tra loro: l'abbattimento del leone Cecil, un rottweiler che ha azzannato un bambino e la morte del contadino siciliano, e il ferimento della moglie, ad opera di un branco di ibridi di cinghiale. Insomma argomenti per i quali, volendo sviluppare adeguatamente la questione, non sarebbe stato sufficiente l'intera puntata. Invece i due conduttori li hanno gettati sul piatto in modo confuso lasciando al veterinario/presidente, intervistato di recente da repubblica.it sulle condizioni del suo eccellente paziente Dudù, il barboncino di proprietà del Cavalier Berlusconi, di rispondere offrendo soluzioni assolute sulla base delle sue profonde conoscenze in materia. E cosa ha detto il Dott. Coccia? Prima di tutto ha pontificato sull'etologia del sus scrofa, dimenticando forse che si stava parlando di maiali inselvatichiti, nella migliore delle ipotesi di ibridi, offrendo un quadro personalissimo del problema ed ignorando completamente tesi e le linee guida delle maggiori Università italiane e perfino dell'ISPRA; poi ha risolto il problema dei cani problematici, consigliando di internarli in un recinto, deformazione professionale di chi è abituato a tenere gli animali in gabbia, infine dimostrando un'assoluta ignoranza sulla situazione della fauna africana, ha accusato i cacciatori di averla sterminata. Il tutto coadiuvato dalla speaker del servizio andato in onda nel corso del "dibattito" che dopo aver citato le cifre che ruotano intorno al turismo venatorio africano, ha utilizzato l'aggettivo "sanguinosi" per descrivere i safari, ed offrire al pubblico il suo personale punto di vista, alla faccia della deontologia.

Ci troviamo come al solito a dover combattere una battaglia impari tra chi, per strappare facili consensi, gioca con la salute pubblica facendo leva sul sentimentalismo disneyano del pubblico meno preparato.

Infine in una dimostrazione di alta democrazia si è consentito al veterinario/presidente di interrompere l'intervento del direttore di caccia passione, al quale non è stato concessa una legittima, serena, replica affidando l'esecuzione finale al giornalista conduttore che ha decretato la condanna affermando, dall'alto della sua ignoranza, che gli animali prelevati non c'erano più a scapito di quanti si accontentano di guardarli, ignorando che il prelievo dei selvatici é frutto di una pianificazione scientifica che crea risorse per il mantenimento delle specie selvatiche.

Poi il veterinario/presidente ha iniziato a parlare del leone asiatico, un felino presente nel solo parco di Gir nello stato indiano del Gujarat, che ho visitato circa trent'anni fa, che secondo il dott. Coccia vengono tenuti in un recinto di circa millecinquecento metri quadrati, nel Bioparco, per preservarli dall’estinzione.

Affermare che avere due soggetti in cattività significa preservarli dall’estinzione è già di per se una teoria, diciamo azzardata, ma questo ci offre l’opportunità di parlare di questi gattoni che vivono praticamente all’interno di un enorme recinto, governati da un gruppo di assistenti che entrano sempre accompagnati da una capretta a guinzaglio perché se mai i felini dovessero dare segni di nervosismo nei confronti del loro guardiano quest'ultimo, lasciando libera la capretta – orrore!!! - ha modo di mettersi in salvo. Un’altra curiosità: é in corso una querelle tra il parco del Gir, ormai saturo, e quello di Palpur-Kuno nel Madhya Pradesh perché il primo, malgrado sia nota l’importanza della creazione di popolazioni diverse, non vuole perdere il primato della custodia dei leoni garantendosi i proventi derivanti dal turismo legato ai leoni. Tutto il mondo è paese e gli animali devono sottostare agli interessi economici e politici anche in India.

Parafrasando una strofa di Francesco Guccini, "Adesso avete voi il potere, adesso avete voi TV e supremazia" vorrei sperare che questo perverso gioco, prima o poi, si interrompa garantendo alla comunità il diritto ad un'informazione onesta e scevra da ogni interesse politico ed economico, e soprattutto si occupi dell'interesse dei molti e non di quei pochi che dall'animalismo di facciata traggono ori e onori, a scapito di quanti investono il proprio in termini di volontariato e denaro, come appunto i cacciatori, che lavorano sul territorio per costruire ambiente e fauna per tutti e non solo per quelli disposti a pagare.

                                      Giacomo Cretti