Il rottweiler, il leone, il cinghiale e… il barboncino - (18/08/2015)
Il codice deontologico impone al giornalista di affrontare un dibattito che lo veda, conduttore o moderatore, nella condizione di super partes con il compito di sollecitare la discussione senza prendere posizione, soprattutto quando si affrontano temi "sensibili" che per ovvi motivi possono essere sviluppati esclusivamente da persone che abbiano una specifica preparazione.
Questa dovrebbe essere la regola, ma ogni volta che si affronta l'argomento caccia, o questioni legate all'interazione della fauna selvatica con le attività antropiche, i buoni propositi, e le norme deontologiche, vanno a farsi benedire ed il giornalista di turno abbandona il suo ruolo e scende nell'arena partecipando, più o meno dichiaratamente, e muovendo i fili della discussione con lo scopo evidente di condurre il dibattito verso ragioni animaliste e anti caccia.
La puntata dell'undici agosto della trasmissione “Uno mattina estate” non ha fatto eccezione e così abbiamo assistito all'ennesimo "plagio della ragione" dove la coppia di conduttori, paventando un aplomb political correct, ha condotto il dibattito verso lidi a loro cari, sostenuti da immagini scelte ad arte e commenti fuori campo che condannavano l'ospite cacciatore e lo sconosciuto esperto di "turismo venatorio", a vittime designate, senza possibilità di appello.
Io che faccio questo mestiere vengo colto dall’imbarazzo quando assisto al perfido gioco messo in atto per crocifiggere l'incauto ospite che tenta di spiegare le proprie ragioni, qualunque esse siano. Ho sposato la verità pirandelliana del "così é se vi pare", ed ho scelto per amante il concetto di libertà di espressione voltariano. Ecco perché mi ribello ogni volta che vedo profanare il diritto/dovere di cronaca al quale ogni professionista dovrebbe attenersi.