Uno dei cardini su cui poggia il nostro diritto penale è il principio “nullum crimen sine lege”, cioè un fatto per costituire reato deve essere previsto espressamente come tale dalla legge ed avere pertanto un suo “nomen juris”.
Vi sono disposizioni penali che riguardano il maltrattamento degli animali con particolare riferimento ai cani?
La tutela penale degli animali è assicurata in via principale da una contravvenzione prevista nel codice penale che punisce con una ammenda chi incrudelisce verso animali o chi senza necessità li sottopone a fatiche eccessive o torture.
È altresì punito chi detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura. La formulazione originaria della contravvenzione (art. 727 c.p.) mirava al sentimento di pietà nei loro confronti. Ma la sua modifica, disposta nel 1993, sembra avere in considerazione il rispetto dovuto alla natura animale e alle sue esigenze.
Venendo allo specifico, costituisce maltrattamento l’applicazione ai cani di collari elettrici per addestramento cinofilo?
Nel tempo si sono succedute varie Ordinanze Ministeriali modificative del testo che originariamente considerava reato il semplice utilizzo del collare ad impulso elettrostatico.
Stando ad una sentenza del 2007 della Corte di Cassazione, detto collare costituisce una sadica sofferenza per l’ausiliare e quindi rientra nella previsione di cui all’art. 727 cod. pen. (ora art. 544 Ter) che fa divieto di maltrattamento degli animali, da cui si deduce la punibilità con la reclusione da mesi tre ad un anno, ovvero con la multa da 3.000,00 a 15.000,00 euro.
Con legge 189/2004 (art. 1 punto 3) l’art. 727 c.p. è stato modificato nel senso che chi detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura e che sono produttive di gravi sofferenze, è punito da 1000,00 a 10.000,00 euro.
Si sono succedute anche diverse “Ordinanze” Ministeriali e “Sentenze” interpretative di TAR e Cassazione. Ma noi siamo partiti dalla ineludibile premessa che la risposta al quesito principale (è legittimo l’uso del collare elettrostatico?) deve trovare una risposta precisa nella legge.
Appare chiaro che la finalità dell’addestramento esclude che il collare sia utilizzato per infierire sul cane (crudeltà) o senza necessità (che si rinviene invece nell’addestramento).
È altresì chiaro che il collare utilizzato per l’addestramento non può configurare di per sé il reato di cui all’art. 544 Ter comma 2 del Cod. Pen. (secondo cui è punibile chi procura un danno alla salute dell’animale), proprio perché se il collare viene utilizzato secondo le prescrizioni tecniche proprie dello strumento, esso non provoca alcun danno al cane. Per cui l’ipotesi dell’art. 544 suddetto si concretizzerebbe solo e soltanto quando l’animale venga sottoposto con il collare a sevizie da parte del padrone.
Il corretto uso del collare perciò esclude il concretizzarsi del reato ex art. 727 comma 2 c.p. (che punisce chi detiene l’animale in condizioni incompatibili con la loro natura e tali da produrre gravi sofferenze); perché il collocare al cane non crea la situazione di detenerlo in condizioni incompatibili con la propria natura né, se correttamente usato, produce gravi sofferenze.
Pertanto l’Ordinanza Ministeriale 3 marzo 2009 non può configurare alcun reato perché non ha la forza giuridica (come la legge) di stabilire che cosa costituisce un comportamento penalmente perseguibile; né le pronunce della Cassazione hanno forza di legge.
Va dunque conclusivamente premesso e chiarito quanto segue:
- le Ordinanze Ministeriali non sono che semplici atti amministrativi, non aventi valore cogente come la Legge;
- le Sentenze giurisprudenziali non sono legge e fanno stato soltanto fra le parti e per i casi dedotti in giudizio.
Ed allora come può essere risolto il quesito sulla legittimità dell’uso del collare di addestramento?
Rispondiamo che si verifica il reato di maltrattamento ex artt. 544 ter e 727 c.p. soltanto se nell’utilizzo del collare elettrico il cane è sottoposto a sevizie, cioè ad azioni che gli provocano sofferenza fisica (come ad esempio lesioni o ferite) oppure se è costretto a portarlo reiteratamente e per lungo tempo sì da violare la stessa integrità fisica dell’animale.
Invece l’utilizzo del collare elettrico impiegato soltanto in addestramento non comporta in quanto tale la commissione del reato di cui all’art. 1 punto 3 legge 189 del 2014, tranne che non venga usato su un cane particolarmente sensibile che sia soggetto a modifiche morfologiche. In ultima analisi, viene condannato dalla legge il maltrattamento ma non l’utilizzo del collare, in quanto per il divieto di quest’ultimo occorrerebbe una apposita norma di legge che in atto non esiste.
Ne consegue che perché venga accertata volta per volta la sussistenza del reato di maltrattamento (essendo lecito l’uso del collare), è necessaria una perizia veterinaria che certifichi l’essersi verificato nel caso concreto il maltrattamento del cane attraverso il collare cioè per volontà del padrone, che abbia ecceduto nell’usarlo.
Mi scusino i lettori se concludo il mio dire con un esempio banale: indossare a tracolla una doppietta (con le dovute licenze, cosi come il collare del cane in commercio) non costituisce reato, però lo diventa se l’adopero non per andare a caccia ma per eliminare un mio rivale in amore.
In tal caso occorre acquisire le prove del misfatto compiuto.